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Sempre connessi: è così che trascorriamo le nostre giornate. Per controllare mail, rispondere a messaggi sulle chat-app, scorrere la bacheca dei social network, rispondere a chiamate.

Pratico e veloce, lo smartphone è un mezzo utile e potente, ma i rischi?

Presso l’Università del Sussex, sono stati approfonditi due studi che hanno evidenziato quanto il telefonino disturbi la comunicazione faccia a faccia: la connessione fra due o più persone mentre condividono una cena o un bicchiere in compagnia è negativamente influenzata dalla presenza di un terzo, il telefono, che distrae e porta lontano dalla conversazione chi lo sta utilizzando, nuocendo alla relazione che intercorre fra gli interlocutori.

Altri studi sono stati condotti al fine di verificare la correlazione fra uso di dispositivi elettronici e sintomi depressivi. Fra questi, lo studio condotto da Sara Thomè e colleghi ha indagato una popolazione di 4163 persone comprese tra i 20 ed i 24 anni: per ciascun soggetto i ricercatori hanno verificato quanto i giovani utilizzassero i suddetti mezzi tecnologici (suddividendoli in uso ad intensità alta, media e bassa) e con quale scopo (email, chat e gioco). I risultati dello studio hanno evidenziato l’esistenza di una correlazione fra un uso medi-alto dei dispositivi elettronici, disturbi del sonno e sintomi depressivi.

Molto del nostro tempo trascorso davanti al piccolo schermo del nostro smartphone lo passiamo sui social network che portano con sè indubbi vantaggi (come ritrovare vecchie amicizie ed essere costantemente aggiornati su eventi e concerti in programma nella nostra città) ma anche notevoli rischi.

L’accesso ad un numero infinito di informazioni fa sì che il nostro sguardo non si soffermi su nessuna di esse: capita, ad esempio, di leggere solamente il titolo o di leggere sì tutto l’articolo, senza approfondire la fonte e l’autorevolezza di chi scrive. La contropartita, purtroppo, ricade in termini reali e non più virtuali.

Pensiamo al movimento “no-vax” ed alla sua nascita: nel febbraio del 1998 un medico inglese di nome Andrew Wakefield pubblicò uno studio in cui asseriva che il vaccino Mpr (morbillo, parotite, rosolia) provocasse l’autismo. Dopo la pubblicazione del suddetto studio si ebbe un decremento della copertura vaccinale, con un aumento dei contagi e dei morti, soprattutto a causa di morbillo. Negli anni successivi vennero pubblicati altri studi che dimostrarono che quanto riferito da Wakefield non aveva basi scientifiche ed era stato viziato da interessi economici. Fra essi, un grande studio dell’Institute Of Medicine of the National Academies ha analizzato la possibile correlazione tra 8 diversi vaccini (incluso l’Mpr) ed una serie di eventi sfavorevoli, concludendo che non esiste alcun nesso fra vaccini ed autismo. Nel 2010 l’articolo di Wakefiedl fu ritirato ed egli venne radiato dall’albo dei medici (qui la storia completa: https://tg24.sky.it/salute-e-benessere/2018/02/22/prima-bufala-vaccini-autismo-storia.html). Nonostante ciò, grazie al tam-tam virtuale che ha alimentato il proliferare della disinformazione, il numero dei bambini vaccinati negli anni è diminuito ed il numero dei contagiati e dei morti è costantemente aumentato.

Mascherati dallo schermo che ci distanzia dagli interlocutori e ci protegge, ci sentiamo in diritto di giudicare, insultare fino ad augurare la morte di altri utenti. L’aggressività verbale è un fenomeno sempre più diffuso in rete. Se è vero che la maggior parte di noi non direbbe mai davanti ad un interlocutore reale ciò che si permette di scrivere è anche vero però che maggior rabbia ed aggressività permeano nella vita di tutti i giorni.

Pensiamo all’intolleranza verso il diverso, al ripudio dei migranti, alla paura delle voci fuori dal coro che vengono subito messe a tacere.

Che rimedi possiamo trovare quindi?

Innanzitutto, dobbiamo diventare consapevoli del nostro uso dei social network, provando ad osservarci mentre navighiamo: quante ore trascorriamo su Facebook? Sapremmo indicare le ultime cinque foto viste su Instagram? Risponderemmo con gli stessi toni nella vita reale? Solo un’attenzione non giudicante verso noi stessi ma conscia può aiutarci ad uscire da questi atteggiamenti, trovando nuovi e più proficui modi di approcciarci ai social.

Possiamo inoltre cercare di utilizzare meno lo smartphone: una sensazione ricorrente è quella di non avere mai tempo per hobby o altre attività. Esistono applicazioni in grado di monitorare il tempo speso utilizzando il cellulare, testatene una e vi renderete conto quante ore di tempo libero potreste ottenere (qui trovate i link a due applicazioni per Android: Your Hour – phone addiction tracker and controller,StayFree – Phone Usage Tracker & Overuse Reminder).

Se sappiamo di dover sottostare a delle lunghe attese (in coda dal medico, in posta, nei viaggi sui mezzi pubblici) non dimentichiamoci mai a casa un buon libro.

Di fondamentale importanza è poi educare i giovani ad un uso più consapevole delle nuove tecnologie, stimolandoli ad incontrare gli amici più che a chattare tutto il giorno, spronandoli a fare sport e dando loro degli orari per l’utilizzo.

Uno dei prossimi articoli sarà dedicato nello specifico all’uso del telefono da parte dei bambini.

E poi, proviamo ad essere sovversivi: pratichiamo “atti di gentilezza a casaccio ed atti di bellezza privi di senso” (Anne Herbert)