Orario: 8.00-20.00 Lunedì - Sabato
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L’altra sera ero intorno a un tavolo con alcuni amici quando uno di loro mi ha chiesto “Martina, quando mi inizi a psicanalizzare?”
Ora, tolte le differenze fra psicoterapia e psicanalisi, che analizzeremo un’altra volta, la risposta alla domanda, per quanto può apparire scontata per gli addetti ai lavori, è sempre di difficile intendimento per i non praticanti, agli occhi dei quali può apparire un dogma di difficile comprensione, ribattendo anzi: “Verrei da te appunto perché già mi conosci!”
Ma è proprio questo il punto. Conoscere una persona, non solo parenti, partner o amici, ma anche semplici conoscenti, implica che su tale persona si abbiano già dei preconcetti e pregiudizi. Dal primo contatto il proprio cervello inizia, infatti, a stabilire delle connessioni che fanno in modo di categorizzarla in un certo modo (partendo dal tono della voce, dalla stretta di mano, fino alle idee politiche, religiose, ecc.) e che consentono un risparmio delle energie cerebrali (pensate che fatica e quanti fraintendimenti se ogni volta si dovesse ripartire da zero, un po’ come nel film “50 volte il primo bacio”).

Senza contare che anche il paziente dovrebbe conoscere il meno possibile della storia del terapeuta, il quale può utilizzare poi la self disclosure (ovvero, l’auto svelamento di parti di sè) in momenti precisi della terapia, per aiutare per esempio il cliente, tramite un atto di normalizzazione, a comprendere che ciò che gli accade non è strano ma che, anzi, è accaduto anche al suo terapeuta. Inoltre, c’è il rischio sia per il paziente che per il terapeuta di sentirsi meno liberi (vuoi per non ferire l’altra persona, vuoi per la paura del giudizio o per il timore che il terapeuta possa lasciare trapelare informazioni sul paziente-amico al di fuori del setting terapeutico).

Ma dicevo prima che non si dovrebbero prendere in terapia neanche gli amici meno stretti o i semplici conoscenti. Poniamo per esempio che il fidanzato di una vostra amica, che avete visto solo in rare occasioni e mai a tu per tu, vi chieda aiuto. In tale caso, sebbene non lo conosciate quasi per nulla, è molto probabile se non sicuro che il futuro paziente vi parlerà della relazione con la vostra amica. Poniamo, ad esempio, che arrivi ad una seduta inviperito per il fatto di aver litigato con lei. Cosa potrebbe succedere? Potrebbe succedere che il terapeuta abbia già sentito lo sfogo della sua amica (e quindi essersi creato una serie di opinioni e idee sul litigio che c’è stato). Oppure che il paziente non si senta libero di dire tutto, sapendo che il terapeuta è amico della propria fidanzata. O ancora,che sia il terapeuta a non sentirsi libero di fare tutti i rimandi che farebbe in una situazione di semplice rapporto professionale, avendo paura di fare soffrire indirettamente la propria amica.

In conclusione, se parenti, amici, conoscenti ci chiedono di iniziare una terapia, è nostro dovere dar loro il riferimento di un collega verso il quale nutriamo piena fiducia.