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Spesso e volentieri la figura dello psicologo coincide ancora, tout court, con quella dello psicologo clinico, chiuso nel suo studiolo. A volte, a tale immagine, si associano pensieri stigmatizzanti (“lo psicologo cura i matti”) o magici. Anche se in questo articolo non tratterò l’attività clinica in senso stretto, mi piace sempre sottolineare che lo psicologo accanto, certamente, ad un’attività volta a curare la sofferenza mentale, ne svolge in parallelo un’altra volta ad incrementare il benessere psicologico della persona. Insomma, per rivolgersi ad uno psicoterapeuta non bisogna essere matti ma bisogna avere la voglia e la motivazione di mettersi in gioco e cercare, insieme al professionista, nuove modalità di agire e pensare.

Certamente, l’attività clinica ricopre una gran fetta del lavoro di noi psicologi psicoterapeuti, ma ci sono altri innumerevoli ambiti in cui la figura dello psicologo è presente ma ancora misconosciuta.

Oggi vorrei discutere con voi il ruolo dello psicologo dello sport.

La Psicologia dello Sport è una disciplina abbastanza recente: il primo congresso mondiale di Psicologia dello Sport si è tenuto a Roma nel 1965, ricorrenza che è stata celebrata dopo 50 anni da quella data. Da quella data è stata fatta parecchia strada e, ad oggi, sono molte le società sportive e gli atleti che si avvalgono di uno psicologo. Nel concreto, egli svolge la sua attività non in quanto tecnico sportivo (ovviamente) ma in quanto esperto di tematiche psicologiche e, in particolare, si occupa di aiutare gli atleti nel:

  • gestire l’ansia
  • porsi degli obiettivi reali e raggiungibili
  • mantenere alta la loro motivazione nel cercare di raggiungere suddetti obiettivi
  • incrementare la concentrazione
  • migliorare l’autostima
  • incrementare il senso di autoefficacia
  • effettuare una diagnosi nel caso di disturbi alimentari, disturbi del sonno o di abuso di sostanze.

Lo psicologo dello sport, in sintesi, si occupa di incrementare il benessere psicofisico e di allenare la mente degli atleti che segue, in modo da poter migliorare le loro prestazioni.

Nel caso di sport di squadra, lo psicologo non interviene solo a livello individuale ma considera il gruppo, nella sua complessità, per facilitare la comunicazione, la cooperazione fra i suoi membri e la consapevolezza dei reciproci ruoli, stimolando, contemporaneamente, il senso di appartenenza alla medesima realtà gruppale.

Lo psicologo, inoltre, opera in sinergia con la società, la dirigenza e, soprattutto, con l’allenatore, in modo da concordare gli obiettivi e definire i rispettivi ruoli: ognuno, infatti, riveste un ruolo importante nella vita dell’atleta ed è necessario che i rispettivi ambiti non vengano invasi, screditati o messi in discussione.

Oltre a questo tipo di attività di stampo clinico, lo psicologo sportivo può mettere in campo anche attività di tipo formativo ed informativo sia in ambito agonistico che dilettantistico, fra le quali:

  • informare sull’uso e sull’abuso di sostanze dopanti
  • informare ed intervenire sull’uso improprio di farmaci antidolorifici.

Inoltre, fra la popolazione, lo psicologo sportivo si fa portavoce nella promozione della salute, incentivando un’attività fisica regolare che beneficia non solo il corpo ma anche la mente, migliorando il tono dell’umore (per maggiori approfondimenti, vi rimando al mio articolo Mens sana in corpore sano).

Per ultimo, da sottolineare è l’ambito sperimentale e di ricerca volto a, per esempio:

  • tracciare un profilo della personalità dell’atleta
  • studiare l’ansia pre-agonistica.