Il termine “omofobia” deriva dal greco, dalle parole “fobia” (paura) e “omo”, che in questo contesto perde la sua accezione di “stesso” per diventare l’abbreviazione del termine “omosessuale”. Quindi: la paura derivante da un pregiudizio, da parte della nostra cultura eterosessista, nei confronti di persone omosessuali.
Ma da cosa deriva?
Sicuramente la nostra sopracitata cultura non favorisce un atteggiamento aperto. Pensiamo a pubblicità, film e serie tv: immagini di amore e sesso sono onnipresenti, ma solo fra persone eterosessuali.
La Chiesa cattolica poi, suggerisce un controverso atteggiamento di accoglienza per le persone omosessuali, a patto che esse rinneghino sé stesse, affermino di essere sbagliate e di andare contro natura ed accettino una condizione di perenne castità.
Ma c’è di più. Molto spesso l’omofobia è pervasa da una paura accecante della propria omosessualità. Ed abbiamo avuto modo di constatarlo tragicamente in questi ultimi giorni, nella strage del locale gay “Pulse” di Orlando condotta da Omar Marteen, frequentatore del locale e di chat omosessuali.
Un’interessante ricerca è quella condotta da tre ricercatori (Adams, Wright e Lohr) del Dipartimento di Psicologia dell’Università della Georgia, nel 1996. Essi hanno indagato la risposta sessuale in maschi eterosessuali (misurata attraverso l’aumento della circonferenza del pene) alla presentazione di immagini di sesso fra uomo e donna, fra due donne e fra due uomini. Dapprima hanno diviso il gruppo sperimentale in soggetti omofobi e non-omofobi, facendoli rispondere ad un questionario volto ad indagare l’atteggiamento nei confronti dell’omosessualità.
Ebbene, mentre entrambi i gruppi hanno mostrato un aumento della circonferenza del pene in risposta alla presentazione di immagini eterosessuali e di donne omosessuali, sono il gruppo omofobo ha mostrato eccitamento in risposta alla presentazione di scene omosessuali fra uomini.
Questo studio rappresenterebbe un’evidenza alle teorie secondo cui l’omofobia deriverebbe da una propria omosessualità repressa che conduce, quindi, alla paura che il diverso potrei proprio essere io.