“Quando andare dallo psicologo?” È una domanda che le persone mi rivolgono spesso.
E oggi cercherò di darvi una risposta che non vuole essere esaustiva ma fornirvi qualche spunto di riflessione.
Parlerò della figura dello psicologo sottintendendo psicologo specializzato in psicoterapia (per le differenze tra psicologo, psicoterapeuta e psichiatra vi rimando al mio articolo ).
Iniziamo con il dire che la figura dello psicologo è una figura sanitaria e, pertanto, si occupa del benessere della persona. Benessere inteso non unicamente come assenza di malessere (quindi assenza di una sintomatologia franca e invalidante) ma soprattutto come il raggiungimento del più alto livello possibile di salute (fonte: OMS).
Innanzitutto occorre distinguere percorsi individuali da percorsi di coppia.
Come singoli ci si può rivolgere allo psicologo quindi quando insorge una sintomatologia (per esempio: episodi depressivi, attacchi di panico, disturbo ossessivo-compulsivo,…) che non permette all’individuo di portare avanti la sua routine quotidiana, con gravi impatti sul funzionamento lavorativo, sociale e familiare. Ma anche quando, in assenza di una sintomatologia invalidante, l’individuo non sente di funzionare al meglio delle sue possibilità.
Ancora, ci si può rivolgere allo psicologo in seguito ad un evento di vita che ci ha attivati, impattando negativamente su di noi: penso a esperienze traumatiche (come incidenti o abusi), a lutti o alla diagnosi di una malattia.
Rispetto a percorsi di coppia, ci si può rivolgere allo psicologo quando sentiamo di aver smarrito la complicità, quando l’intimità e la sessualità non appagano o interessano meno, quando la conflittualità diventa elevata. Ma anche quando, avendo già optato per la separazione, vorremmo che avvenisse nel modo meno conflittuale possibile, per tutela nostra e degli eventuali figli.
A proposito di figli, ci si può rivolgere a uno psicologo in coppia anche per essere supportati nella nostra genitorialità, con l’obiettivo ad esempio di instaurare relazioni più funzionali.
Per concludere, non esiste quindi una risposta univoca alla nostra domanda iniziale.
Mi piace però concludere con una frase di Socrate: “una vita non esaminata non vale la pena di essere vissuta dall’uomo”, un invito all’autoriflessione e alla conoscenza di noi stessi, con un obiettivo ultimo di cambiamento, che paziente e professionista concordano assieme.