Orario: 8.00-20.00 Lunedì - Sabato
Appuntamenti 348 864 6506

Preparando la lezione che ho tenuto ieri all’UTEA (Università delle Tre Età di Asti) per il corso “Psiche: dal disagio al benessere” sulla tecnica EMDR, sono andata alla ricerca di film che avessero a che fare, richiamassero e illustrassero in modo semplice e diretto alcuni disturbi psicologici, che l’EMDR  può andare a trattare. E, in questa ricerca, mi sono imbattuta in un documentario sui disturbi del comportamento alimentare e di cui oggi vi vorrei parlare.

Il documentario in questione è “Ciò che mi nutre mi distrugge“, di Ilaria De Laurentiis e Raffaele Brunetti, due registi-genitori che hanno voluto raccontare le storie di disturbi alimentari dopo essere stati toccati in prima persona dalla sofferenza del figlio, seguito presso il centro in cui il documentario si svolge.

Il film si svolge presso il Centro per la cura dei Disturbi Alimentari della ASL RME e vengono raccontate le terapie di quattro pazienti, durante l’arco di un anno. I disturbi alimentari sono molto complessi: hanno a che fare con lo scarso senso di amabilità personale, la percezione distorta del proprio corpo. La vergogna. Il giudizio. Il senso di colpa. Il perfezionismo. Il documentario ha il pregio di arrivare dritto al punto, in modo immediato e diretto. Racconta le sconfitte, le ricadute, i successi, le difficoltà, gli ostacoli, i piccoli pezzetti conquistati di giorno in giorno, i traguardi raggiunti nonostante le difficoltà che tali disturbi comportano. Sullo schermo vediamo scorrere le lacrime, i sorrisi, le difficoltà, il gioco di sguardi, le emozioni, le espressioni corporee. Vediamo le pazienti cambiare, crescere, tornare un passo indietro: è come trovarsi in un DSM (il manuale dei disturbi mentali) in 3D: non sono solo disturbi fatti di parole su carta stampata ma assumono un volto, un corpo. Una paura. Uno sguardo.

E in questo gioco di dinamiche, paure e cambiamenti, il terapeuta danza con le pazienti, stando di fianco a loro passo dopo passo, successo dopo insuccesso, con un atteggiamento non giudicante ma accogliente.

Certo: non è una visione facile. Lo sguardo è quello serio e cupo delle storie vere, senza fronzoli. Il dolore è vero, così come lo sono le relazioni. Quindi mi è difficile concludere con un classico “buon spettacolo” ma sicuramente posso concludere con un’ “emozionante visione”.