In quest’ultimo periodo l’attenzione mediatica sta dando spesso risalto al fenomeno del bullismo, tanto che spesso ci chiediamo se sia nato ora.
In realtà, è un fenomeno conosciuto da sempre: credo che tutti noi abbiamo in memoria ingiustizie o scherzi (di cattivo gusto) perpetrati, solitamente, ai ragazzi più deboli.
Oggi, però, i bulli hanno un’arma in più: il telefono, che permette loro di immortalare le umiliazioni perpetrate, pubblicarle sul web e raggiungere immediatamente persone provenienti da ogni parte del mondo. Il bullismo si è, così, trasformato in cyberbullismo.
Ma chi è il bullo?
Generalmente, il bullo è un ragazzo con notevoli problemi a relazionarsi con gli altri ed un deficit, una mancanza della cosiddetta “intelligenza emotiva” (Daniel Goleman): non sanno riconoscere le proprie ed altrui emozioni e, in aggiunta, mancano di empatia, ovvero non sanno immedesimarsi in chi hanno di fronte. Alcuni studi hanno, infatti, dimostrato che i ragazzi che esercitano violenze fisiche e verbali nei confronti dei compagni risultano meno abili dei coetanei nel riconoscere le espressioni emotive degli altri.
Mostrano, inoltre, ridotte capacità verbali, il che li porta a reagire con violenza quando si verificano situazioni poco chiare: non avendo a disposizione abilità linguistiche per chiarire l’evento, rispondono aggredendo.
Recenti studi hanno anche identificato come i bulli spesso mostrino anche deficit nelle funzioni esecutive, che li portano a non capire quali possano essere le conseguenze reali delle proprie azioni, a non riuscire a controllare i propri impulsi e ad apprendere da esperienze precedenti.
Occorre sottolineare quale possa essere il ruolo famigliare nel favorire comportamenti a stampo bullistico: nelle ricerche volte ad individuare caratteristiche del contesto famigliare ricorrenti nei nuclei dei bulli sono state evidenziate una gestione della disciplina piuttosto rigida o, totalmente all’opposto, assolutamente inconsistente. Talvolta, in aggiunta, sembrano presentarsi delle situazioni aggressive in casa, sia verbali che fisiche.
In considerazione delle carenze sopra riportate, l’intervento sui bulli dovrà orientarsi al miglioramento delle stesse. Appare efficace, quindi, un training di alfabetizzazione emotiva, che miri a migliorare la capacità di riconoscimento e gestione delle proprie emozioni e l’empatia. In parallelo, bisognerebbe progettare, qualora la situazione lo richiedesse, un intervento sulle famiglie: un parent training che miri a supportare il difficile ruolo genitoriale da un lato e a fornire metodi educativi alternativi e che risultino più efficaci per modificare il comportamento dei propri figli.
8 Comments
Andrea Taglio
Buongiorno!
bello questo articolo (come altri del blog): chiaro e ben scritto.
Mi sto però domandando sulla politica di definire i bulli come ‘manchevoli di qualcosa’ (empatia, nello specifico).
Mi spiego: non si parla di carenze cognitive, sono ragazzi che diventeranno uomini e donne sveglie e capaci, e in più sembra confermato che un certo tipo di personalità (‘psicopatici’? Non sono psicologo e non vorrei cadere sulla terminologia tecnica) è effettivamente favorita nella nostra società (http://nuovoeutile.it/persone-di-potere/, ma ricordo che anche altre fonti che dovrei ritrovare dicevano lo stesso riguardo alle figure dei leader carismatici nelle sette).
Chiaro che una società sana deve limitare le azioni dei bulli per difendere socialmente e culturalmente i più ‘deboli’, ma può essere che invece ci sia un vantaggio implicito nell’avere un livello più limitato di empatia?
Insomma, per essere pragmatico, non mi conviene insegnare a mio figlio (tranquillo e bonaccione) ad essere più violento? Non solo per difendersi dai bulli, ma anche per avere migliori prospettive nella società?
È una soluzione che mi fa vomitare, ma mi domando se la nostra ideologia, nata per essere funzionale al successo della società, sia anche funzionale alla natura umana e alla realtà concreta, non ideologica, della società.
martinagerbi
Buongiorno Andrea, la nostra società è già abbastanza violenta così: perché insegnare ad un altro individuo ad esserlo? Vero: sembra esserci odio ovunque, la violenza la si respira per le strade.
Io credo però si possa insegnare ai propri figli a difendersi dai soprusi, senza soccombere, senza diventare a loro volta bulli. Insegnando loro, anzi, ad avere rispetto per il diverso, per il più debole, allungandogli una mano in caso di bisogno. Penso anche che sia un punto di forza nell’ambito lavorativo: la capacità di fare team, di aiutarsi, di cooperare alla lunga premia, ed è una delle doti maggiormente richieste in sede di colloquio.
La nostra società ha bisogno di figli come il suo (che definisce “tranquillo e bonaccione”) se vuole avere ancora qualche chances di salvarsi.
Andrea Taglio
Hehehe, personalmente non respiro violenza nelle strade, ma negli uffici sì!
Il principio della ‘violenza’, anche escludendo la violenza bruta e fisica (di cui, sicuramente, possiamo tutti fare a meno anche nella nostra società), è connaturata ed è necessaria all’umanità, sia perché strettamente collegata al desiderio di sopravvivenza, sia perché è alla base dello spirito competitivo (e di nuovo è una questione di sopravvivenza).
Non so bene se sia possibile resistere e difendersi dai soprusi senza applicare la stessa moneta a chi intendeva sopraffarci in primo luogo (non so se qui sono riuscito a spiegarmi bene, ma questo concetto credo sia centrale).
Inoltre, da padre, se devo scegliere tra il benessere della società (che ha certamente bisogno di persone ‘buone’, ma ha anche bisogni meno nobili, ad esempio di vittime sacrificali e di carne da macello umana) e quello di mio figlio, non ho esitazioni nello scegliere il secondo sopra il primo: mi sembra un orientamento necessario.
Detto questo detesto i bulli, quindi non credo riuscirei a trasformare mio figlio in una copia mingherlina di Conan il Barbaro nemmeno se volessi…
martinagerbi
Sicuramente il sistema di rango è insito nella nostra indole di animali: il lottare per delle risorse che sono o si percepiscono limitate è presente in molte specie animali e noi non ne siamo esenti. Detto ciò io credo che a tutto ci siano dei limiti: capisco l’auto affermazione personale ma ciò non deve andare a discapito del prossimo in termini di benessere psico-fisico. Nel caso si vada oltre, penso che entrambi (bullo e bullizzato per intenderci) abbiano bisogno di aiuto per comprendere ed uscire dalla loro situazione.
Andrea Taglio
Le risorse *sono* limitate. Sono limitati i posti di lavoro, sono limitati i servizi, sono limitati i beni: è il prezzo che paghiamo tutti per vivere nelle economie moderne (non che quelle passare fossero migliori: oggi siamo solo più comodi e consapevoli).
Quindi ogni auto-affermazione necessariamente priva qualcun altro delle stesse risorse: ci ho impiegato molto a capirlo e a convincermene, ma ora non mi pongo più il problema da un punto di vista morale, solo pragmatico.
D’altra parte questo è un problema quantitativo (quante risorse vengono tolte alla comunità per il benessere del singolo), e deve essere affrontato e misurato di volta in volta.
Ovviamente se vittima e carnefice non trovano un equilibrio civile, o non riescono a uscire dai rispettivi ruoli, in questi casi nessuno sosterrà che gli psicologi non servono, anzi.
Grazie per il preziosissimo confronto!
martinagerbi
Grazie a lei!
Comments are closed.